Dolore al polpaccio nella preparazione di una maratona

dolore al polpaccio

Come un imprevisto dolore al polpaccio potrebbe inficiare la preparazione di una runner verso la sua prima maratona.

Il dolore al polpaccio non è infatti un problema in sè ma potrebbe essere il segnale di una preparazione non efficace la cui risoluzione potrebbe essere affrontata con metodi naturali.

Il dolore al polpaccio è giusto uno degli innumerevoli incidenti che possono accadere a una runner.

Questo racconto di una runner alle prime armi prova a far entrare nello stato d'animo di cosa significhi interrompere per un dolore muscolare.

Sara pensava che calpestare il terreno correndo a quell’ora del mattino avesse qualcosa di magico, le sembrava fosse la prima persona a mettere piede nel mondo. Un mondo nuovo, perché ogni giornata che stava per cominciare era in un certo senso una realtà inedita che prendeva forma al tempo dei suoi passi e di quelli di chi, come lei, erano scesi in strada per allenarsi.

Battere la terra e così battere il tempo al ritmo della musica nelle orecchie, del cuore che pompava veloce ma non doveva accelerare troppo, dei piedi che si piegavano sul piano liscio del sentiero nel parco, mentre i muscoli si scaldavano e la pelle si inumidiva, nonostante l’aria fresca del primo mattino.

Il ritmo del respiro che poteva e doveva mantenere regolare, perché attraverso questo avrebbe controllato il cuore, il fluire del sangue e forse evitato l’acido lattico (nemico di sempre). Tutto orchestrava quel nuovo incipit di vita. La giornata in ufficio sarebbe stata lunga e piena di impegni, come ogni giorno.

Più tardi si sarebbe fatta una doccia, avrebbe sciolto i capelli castani, indossato uno dei vestiti riposti con ordine nell’armadio, scelto le scarpe eleganti, truccato il viso con cura, sarebbe scesa di nuovo di casa e avrebbe percorso i pochi metri che la separavano dalla fermata della metro, avrebbe osservato gli altri passeggeri dalla panchina in marmo della banchina domandandosi sulle loro vite.

Arrivata in ufficio avrebbe risposto alle telefonate, gestito gli appuntamenti del suo capo, sorriso ai clienti, battuto email fino a sera. 

Ma non adesso. Adesso era prima e oltre tutto questo. Adesso era solo vita che scorreva con la vita. Era una runner e voleva farcela, mancava poco meno di un mese alla maratona.

La sua prima maratona. La maratona di Firenze: i mitici 42,195 km.

Anche se aveva sempre praticato sport, non aveva mai corso così tanto e allenarsi non era facile. 


Quando aveva preso quella decisione aveva sentito un crampo percorrerle tutto il corpo, come un avvertimento. Lo sapeva che sarebbe stata dura, ma era pur vero che fin da quando era piccola amava svegliarsi presto e uscire di casa senza nemmeno aver dato il tempo ai suoi occhi neri di essersi abituati alla luce, alla mente di essersi svegliata del tutto.

Prima che i pensieri e le esperienze, le paure e i desideri, le preoccupazioni di ogni età trascorsa prendessero il loro posto nel cuore, Sara stava correndo. E quando correva era solo respiro, solo corpo, solo vita. 


dolori e strappi al polpaccio nella preparazione di una maratona
Dove

 

Poteva arrivare con quel corpo minuto? Fin dove potevano reggere i suoi muscoli, il suo cuore? Era per questo che lo faceva? Poteva sentire il suo limite e spostarlo e  vincere il premio più importante: la libertà, la consapevolezza di sé?

Non lo sapeva con esattezza. Sapeva solo che mentre correva e governava il suo fisico per allenarlo a superare un tempo, per mantenere la concentrazione, la vita le scorreva dentro più che mai.

Allo stesso tempo sapeva che tutto quello che il suo corpo le aveva insegnato in quegli anni di corse era stato tutto ciò da cui aveva imparato a vivere. Mantenere la calma, regolarizzare il respiro, padroneggiare le emozioni e le reazioni fisiche, disciplinare la mente. Tutto questo era correre. Tutto questo era vivere. Alla fine, una maratona costante.

Erano tanti i “no” necessari per potersi concedere quella libertà. A volte si chiedeva se avesse senso lasciare che la sveglia smettesse di suonare, alzarsi un’ora più tardi, potersi concedere più aperitivi, serate lunghe con gli amici, prendere qualche chilo e mangiare quella pizza tonno e cipolla, che tanto le piaceva.

Sarebbe stato meglio? La risposta era sempre: no.

Era una runner. Tutti i suoi “no” erano un enorme sì a sé stessa, alla sua natura più profonda. Alla sua possibilità di esprimere pienamente la sua identità. Era una sportiva, era un’atleta. Quanti sacrifici siamo disposti a fare per essere veramente noi stessi, anche quando questo significa non uniformarsi a ciò che è più comune e condiviso?

 

Correre una maratona senza dolori, infiammazioni e strappi ai polpacci

 


Quella mattina mentre Milano cominciava a movimentarsi, Sara chiuse per un attimo gli occhi immaginando di essere lì, per le strade di Firenze, la sua Firenze, a correre la sua prima maratona, sotto gli occhi orgogliosi di Enzo, suo zio, che per primo le aveva insegnato tutti i segreti della corsa, lui che di maratone ne aveva vinte tante, lui che stava seguendo la sua preparazione atletica attentamente studiata per evitare l’esplosione di tendiniti e fasciti plantari nel mezzo della performance.

Quante volte succede a chi non si prepara in modo perfetto e bilanciato?

All’improvviso, Sara inciampò in qualcosa, sentì un guaito nelle orecchie mentre il piede ricadeva sull’asfalto, oltre l’ostacolo, con troppa violenza, e i muscoli del polpaccio si contraevano troppo in fretta mentre il resto del corpo cercava di bilanciare il peso per evitare la caduta. 


Sara si voltò ed era lì piccolo, peloso, tutto bianco con il muso nero, due occhi enormi e una vecchia pallina da tennis tra i denti. 


<<E tu chi saresti?!>> esclamò Sara guardandosi intorno per cercare il padrone. Ma non vide nessuno.

Basta un attimo a cancellare tutto.

Un solo attimo di distrazione e lunghi mesi di lavoro rischiano di perdersi nel nulla. Quando si voltò per andare verso il cucciolo di cane si accorse che non riusciva quasi a muovere la gamba, tanto era lancinante il dolore al polpaccio.


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Mancavano pochi mesi alla maratona. Era giugno e il grande giorno sarebbe stato il 29 novembre. Cinque mesi non sono molti per un’atleta che vuole vincere una maratona, o almeno qualificarsi dignitosamente.

L’allenamento deve essere cominciato per tempo, anche se si è già degli sportivi. Il corpo deve abituarsi gradualmente allo sforzo.

L’atleta deve eseguire un periodo di costruzione ed uno di potenziamento dove si sviluppano la resistenza aerobica e la forza muscolare. 

Le basi sulle quali fondare la preparazione atletica di un maratoneta sono lo sviluppo dei vasi capillari, la maggiore efficienza respiratoria, il rafforzamento delle strutture ossee e del tessuto connettivo, l’aumento del numero dei mitocondri e del volume del sangue in circolo, nonché molti altri aspetti tecnici.

Sara non poteva permettersi uno stop all’allenamento.

Si trascinò a casa, con il suo incidente che la seguiva scodinzolando e la pallina da tennis tra i denti. 

Quel pomeriggio, dal medico, scoprì che il dolore al polpaccio in verità era uno strappo muscolare di secondo grado che avrebbe richiesto un mese di riposo e quindi l’interruzione degli allenamenti.

Sara imparò che avrebbe potuto fare molto di più per proteggere il suo corpo durante la preparazione atletica.

Lo strappo muscolare che ha creato tanto dolore al polpaccio e ginocchia non era stato causato soltanto dall’aver inciampato ma da piccole disattenzioni e molta disinformazione, che non le avevano permesso di proteggersi adeguatamente. 

Ogni volta che cominciamo una nuova sfida, quanto siamo davvero consapevoli di tutto ciò che possiamo fare per raggiungere al meglio il risultato che ci siamo prefissati?

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